Plastica e microplastiche: la minaccia dei nostri oceani
Ogni anno si stima che otto milioni di tonnellate, per un valore di 19,5 miliardi di euro, di plastica fluttuano negli oceani. L’80 per cento dei rifiuti oceanici è di origine antropica e proviene dalla terra ferma, mentre il restante 20 per cento arriva dalle navi – navi da crociera, mercantili o piattaforme marine, come quelle petrolifere. Se non si cambia lo stile di vita, secondo il rapporto Stemming the Tide, prodotto da Ocean Conservancy, nel 2025 ci potrebbe essere una tonnellata di plastica per ogni tre tonnellate di pesci nell’oceano.
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— juan pittau (@juanpittau) 24 agosto 2013
Un “mare” (di plastica) nel mare che compromette la stessa sussistenza dell’ecosistema marino. Rifiuti, detriti, attrezzi da pasca, sacchetti di plastica e perfino le cannucce rappresentano una minaccia mortale per la vita marina.
Filo e reti da pesca sono pericolosi non solo quando vengono utilizzati per pescare, ma continuano a minacciare uccelli, tartarughe e cetacei anche quando ormai hanno terminato la loro funzione primaria, avvolgendosi in un abbraccio mortale attorno agli animali. I sacchetti di plastica vengono facilmente scambiati per meduse e inghiottiti come alimento, mentre le cannucce di plastica possono bloccarsi in una narice, nell’occhio o addirittura in gola di una tartaruga marina o di un qualsiasi altro animale marino. Secondo un recente studio sono 690 le specie minacciate dai rifiuti presenti in mare: il 17 per cento di queste sono inserite nelle liste rosse degli animali in pericolo di estinzione, il 92 per cento sono messe in pericolo dalla plastica e il 10 per cento ha ingerito microplastiche.
Le microplastiche
Ma il problema è molto più capillare e radicato di quanto si possa immaginare. Quando si parla di plastica si pensa immediatamente alle isole galleggianti di rifiuti, in realtà la questione è molto più complessa e a impattare sugli animali marini sono soprattutto le microplastiche, frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, che possono essere prodotte dall’industria (ad esempio le microsfere utilizzate in cosmetica o per l’igiene personale, i dentifrici ne sono particolarmente ricchi) o derivare dalla degradazione in mare per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta di oggetti di plastica più grandi.
Le microplastiche affliggono tutti gli animali marini, dal microscopico krill (l’insieme di piccoli crostacei che rappresentano la primaria fonte di cibo per molti animali marini) fino ai grandi predatori all’apice della catena alimentare, per arrivare a noi attraverso il cibo che mangiamo.
Secondo i dati di Greenpeace nei mari di tutto il Pianeta si trovano dai 5mila ai 50mila miliardi di microplastiche e i dati dell’Unep rilevano che nel Mediterraneo nuotano 250 miliardi di frammenti e ogni anno ammontano a circa 677 tonnellate, anche se quasi il 90 per cento sono frammenti di oggetti più grandi, come bottiglie o tappi.
Le previsioni per il futuro sono tutt’altro che rosee, secondo un report realizzato dalla fondazione Ellen MacArthur, assieme al centro studi McKinsey, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci negli oceani. Secondo l’analisi, il rapporto tra le tonnellate di plastica presenti negli oceani e quelle di pesce, che attualmente è di uno a cinque, diventerà di uno a tre già nel 2025. Quindi, un quarto di secolo più tardi, il quantitativo di pesce presente nel mare sarà inferiore rispetto a quello di rifiuti di plastica.
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Fonte: Lifegate
Data: Giugno 2017
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